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Esportare senza Rischi - A cura di Fulvio Graziotto - Avvocato in Sanremo (Imperia)

Pubblicato su: Exportiamo.it

La guida “Esportare senza Rischi” è curata dall’avvocato Fulvio Graziotto e si articola in 18 puntate, pubblicate su Exportiamo.it.

Classificazione: Commerciale, Internazionale, Marketing, Strategia Competitiva

Parole chiave: #export, #legalmanagement, #esportaresenzarischi, #fulviograziotto, #scudolegale

Tenere concettualmente divisi i Paesi UE da quelli terzi.

Sotto il profilo normativo, esistono differenze marcatissime per le transazioni commerciali tra soggetti economici dei Paesi membri dell’Unione Europea rispetto a quelle con paesi terzi, cd. “Extra-UE”.

La UE ha adottato un approccio tendenzialmente uniforme nei confronti degli altri stati, in alcuni casi suscettibile di deroghe in virtù di trattati e convenzioni tra Stati.

Oltre all’aspetto doganale, giocano fattori relativi alla determinazione della legge applicabile in mancanza di scelta operata dalle parti, di competenza giurisdizionale, in materia di rappresentanza, di validità del contratto, di responsabilità del produttore, di disposizioni imperative e di ordine pubblico, e molte altre particolarità che non sono da sottovalutare.

Per segregare i rischi e le responsabilità, è importante dotarsi di proposte commerciali idonee, formulate separatamente per i mercati UE rispetto quelli terzi: non ci sono molte scorciatoie praticabili.

Illustrare tutte le ragioni alla base di tale esigenza richiederebbe una trattazione completa e andrebbe oltre gli obiettivi di questa breve guida legale ma, volendo fare una illustrazione in forma semplificata, è utile riassumere alcuni concetti alla base dell’Unione Europea.

L’Unione Europea, evoluzione delle comunità economiche europee istituite a metà del secolo scorso, si è dotata di disposizioni comuni sotto il profilo dei rapporti economici e commerciali nei confronti degli stati non-UE, aventi rango sovraordinato rispetto alle disposizioni nazionali dei singoli Stati membri.

E’ stata introdotta l’IVA, tributo armonizzato a livello UE, ed è stato istituito un sistema doganale omogeneo, che opera nei confronti degli stati non-UE.

Le merci introdotte nella UE scontano i tributi esterni, cioè quelli doganali, mentre le imposte di consumo (in primis l’IVA) non necessariamente vengono applicate sulle merci contestualmente all’entrata nel territorio della UE: ad alcune condizioni, possono infatti essere introdotte in uno Stato membro in regime di “libera pratica”, per poi continuare a “circolare” all’interno della UE fino al paese nel quale le merci vengono nazionalizzate, scontando le imposte di consumo (IVA, ecc.).

Negli anni, si è tentato di costruire uno “spazio unico europeo” anche sotto il profilo giudiziario, che ha permesso il riconoscimento automatico dei provvedimenti giudiziali tra gli stati membri, senza più necessità del precedente procedimento di “exequatur”, cioè di un controllo da parte degli organi giurisdizionali del diverso Paese nel quale il provvedimento doveva essere eseguito.

In particolare, sono stati adottati Regolamenti dell’UE, che a discapito del nome sono disposizioni normative dell’Unione Europea direttamente applicabili in tutti gli Stati membri e, in caso di conflitto con le disposizioni nazionali, prevalgono su queste, con obbligo per i giudici nazionali di disapplicarle. Per semplificare, i regolamenti della UE sono come “leggi” sovraordinate, che prevalgono su quelle nazionali ove in contrasto con essi; le Direttive, invece, fissano solo gli obiettivi da raggiungere, lasciando liberi gli Stati membri sulle modalità per raggiungerli, e richiedono un procedimento ulteriore a livello nazionale per recepire il loro contenuto. Il recepimento delle Direttive deve avvenire entro termini stabiliti, e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che, in mancanza di recepimento da parte di uno Stato membro entro il termine assegnato, le disposizioni in esse contenute che siano chiare, precise e incondizionate, diventano direttamente applicabili anche in mancanza del recepimento (quindi, in forma analoga ai regolamenti UE).

Negli ambiti di rilevanza commerciale, la UE ha adottato una serie di regolamenti che disciplinano, in modo uniforme per tutti gli Stati membri (salvo alcune eccezioni, ad es. la Danimarca in alcuni di essi), che disciplinano alcuni aspetti giuridici importanti delle relazioni commerciali “transnazionali”, cioè in cui sono coinvolti soggetti di due o più stati membri. Oltre a disciplinare i rapporti tra soggetti appartenenti alla UE, hanno disciplinato, in maniera tendenzialmente uniforme, anche i rapporti tra i soggetti UE e quelli di paesi extra-UE.

Per un esportatore, sotto il profilo pratico-operativo, è importante differenziare i rapporti commerciali con operatori della UE, rispetto a quelli con operatori extra-UE sotto diversi profili.

Spesso è utile ragionare partendo dalla fine, cioè considerare le modalità di tutela in caso di inadempimento, specialmente della controparte: avere ben chiaro come potrà essere azionata la tutela in caso di problemi, è un aspetto critico che va conosciuto ancora prima di formulare le proposte commerciali.

O considerare le differenze in materia di responsabilità del produttore e di tutela del consumatore; o, ancora, con riguardo alla disciplina dei rapporti – e della loro cessazione - con agenti e altri intermediari commerciali.

L’esempio più banale può essere il seguente: un esportatore italiano effettua una fornitura di merci a un cliente UE, e le parti non disciplinano in alcun modo quale sarà – in caso di controversia - la legge competente e il giudice dotato di giurisdizione o – per dirla col linguaggio della UE, di competenza giurisdizionale, cioè competente a decidere sulla controversia.

In questo caso, vengono in soccorso i Regolamenti dell’UE relativi alle obbligazioni commerciali, che operano quali regole predefinite per dare una disciplina a tali aspetti: attraverso alcuni “criteri di collegamento”, viene stabilita la legge applicabile al contratto e il giudice competente a decidere sulla controversia.

Prescindendo in questa sede dai termini di resa della merce (ad esempio dalla clausola Incoterms utilizzata), i Regolamenti UE agiranno – in modo simile a un contratto disciplinato a livello nazionale - quale “integrazione” di quanto concordato tra le parti.

Si hanno, poi, casi in cui alcuni criteri di collegamento sono suscettibili di diverse interpretazioni: in tal caso, la Corte di Giustizia UE, investita della questione dal giudice nazionale che l’ha sollevata, afferma un principio a cui ci si dovrà attenere.

Un esempio in tal senso riguarda il significato di “luogo di consegna” ai fini dell'art. 5, n. 1, lett. b) del Regolamento (CE) 22 dicembre 2000, n. 44, che la Corte di Giustizia UE (con le sue decisioni del 25 febbraio 2010 in causa C-381/08, CarTrim, nonché del 9 giugno 2011 in causa C-87/10, Electrosteel Europe SA) ha precisato debba identificarsi nel luogo della consegna materiale (e non soltanto giuridica) dei beni.

Principio ripreso dalla Corte di Cassazione italiana, la quale ha affermato che «laddove una diversa convenzione stipulata dalle parti sul luogo di consegna dei beni, per assumere prevalenza, deve essere chiara ed esplicita, tanto da risultare nitidamente dal contratto, con possibilità di far ricorso, ai fini dell'identificazione del luogo, ai termini e alle clausole generalmente riconosciute nel commercio internazionale, quali gli Incoterms (International Commerciai Terms), purché da essi risulti con chiarezza la determinazione contrattuale (Cass. Sez. Un., ord. 14 novembre 2014, n. 24279).», la quale precisa inoltre che «per superare la qualificazione del luogo di destinazione finale come quello di consegna materiale della merce quale unico rilevante ai fini della determinazione della giurisdizione per la normativa eurounitaria occorre che la pattuizione tra le parti sia chiara ed univoca e, prima ancora, occorre che vi sia una pattuizione e quindi, per elementari principi di diritto negoziale, un incontro di volontà. Deve, quindi (ancora Sez. Un., n. 1134 del 2014), del tutto prescindersi dalla circostanza di fatto consistente nel luogo ove il vettore prende in consegna la merce, sicché deve inferirsi l'ininfluenza, ai fini dell'individuazione della giurisdizione, della provenienza dell'incarico di trasporto (la cui rilevanza é limitata, sul piano fattuale, alla funzione di procurare la disponibilità dei beni alienati al compratore), come pure di qualsiasi modificazione ex post delle modalità di esecuzione dell'obbligazione di consegna successiva alla conclusione del contratto» (Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza N. 11381/2016).

Non avviene altrettanto per quanto riguarda una fornitura diretta in Paesi extra-UE: in tal caso, opereranno le disposizioni di diritto internazionale privato, in alcuni casi fissate tra i singoli Stati attraverso convenzioni o trattati bilaterali, in altri casi attraverso modalità di “rinvio” alle disposizioni dell’ordinamento giuridico che – in base ad alcuni criteri di collegamento tipici – si ritiene applicabile in prima battuta.

Nei rapporti con i Paesi extra-UE possono anche verificarsi “conflitti” tra disposizioni degli Stati coinvolti, ad esempio entrambi gli ordinamenti potrebbero ritenere il rapporto disciplinato dalla loro rispettiva legge nazionale.

Una delle principali implicazioni pratiche che si osserva nei rapporti con operatori extra-UE è quella relativa alla legge applicabile e al foro/giudice competente a decidere sulla eventuale controversia: mentre in ambito UE tale aspetto è disciplinato – in mancanza di precisa ed espressa pattuizione tra le parti – dai Regolamenti, in ambito extra-UE è frequente l’indicazione di una legge terza rispetto a quella degli operatori coinvolti, e di un foro/giudice competente anch’esso di un Paese terzo.

Le implicazioni pratiche sono numerose, non ultime quelle relative ai costi richiesti per affrontare un contenzioso in certi Paesi o avvalendosi di alcune istituzioni arbitrali internazionali.

Ma, soprattutto, è bene partire dalle caratteristiche dell’esecuzione di un eventuale provvedimento giudiziale o arbitrale: avere ben chiari i meccanismi e gli strumenti disponibili e azionabili in fase di esecuzione è fondamentale, altrimenti si corre il rischio di ottenere una pronuncia favorevole che – sul piano pratico – è solo da incorniciare.

Malgrado all’esportatore possa sembrare più facile avere un singolo “set” di documenti standard (condizioni generali, proposta, conferma d’ordine, contratto, verifica/collaudo, ecc.) da utilizzare nei rapporti commerciali, è bene che si doti di documenti di base ben differenziati: l’ideale è averne uno per ciascuno dei principali mercati di riferimento se i valori coinvolti lo giustificano, ma in ogni caso è consigliabile dotarsi di documenti differenti almeno per i rapporti UE rispetto a quelli extra-UE.

I documenti di base devono ottimizzare il grado di tutela legale a vantaggio dell’esportatore in base al contesto giuridico di riferimento coinvolto dal rapporto commerciale.

Questo obiettivo può essere raggiunto riducendo - sotto il profilo giuridico – la superficie di attacco dell’esportatore, e aumentando il livello di vulnerabilità della controparte nel caso di necessità di azionare tutele: più le previsioni contrattuali sono aderenti a quanto concretamente azionabile e/o utilizzabile in fase di esecuzione del provvedimento giudiziale ottenuto,

Le medesime considerazioni si possono fare relativamente ai criteri di pricing adottati dall’esportatore: quando si calcolano i prezzi di vendita, è bene introdurre anche un parametro che valorizzi i potenziali oneri legali in caso di controversia, e tentare di controbilanciare eventuali richieste di modifica alle condizioni contrattuali di fornitura con un aumento del margine che compensi – almeno in parte – il maggior rischio.


Il presente contenuto rientra nella “Guida agli accorgimenti legali per esportare in modo più sicuro” pubblicata a puntate in esclusiva su Exportiamo.it

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