Il contribuente affidava il ricorso a due motivi: «Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge, che l'art.4 della Convenzione tra la Svizzera e l'Italia dispone che il paese titolare della pretesa impositiva è quello in cui il contribuente ha la sua residenza che nella specie è la Svizzera così come risultante dai documenti prodotti, costituiti non già da semplici certificazione anagrafiche, bensì da attestazioni rilasciate dall'autorità fiscale cantonale elvetica, su richiesta delle imprese italiane incaricate dell'esecuzione materiale delle opere dello stilista, con le quali si dichiara che l'indagato è residente a Ginevra agli effetti della Convenzione bilaterale con l'Italia al fine di evitare la doppia imposizione: per effetto delle suddette attestazioni le provvigioni corrisposte al ricorrente dalle imprese non contemplavano, in conformità al regime fiscale svizzero, né IVA né ritenuta di acconto. In ogni a caso anche a voler disattendere le risultanze documentali, non sussistono riscontri sufficienti a fondare la presunzione che lo Steiger abbia in Italia il proprio domicilio, inteso come centro principale degli affari e degli interessi di un soggetto, tenuto conto che: a) il numero degli immobili di cui costui è titolare in Italia, corrisponde a quelli di cui è proprietario in Svizzera, a Parigi e a New York; b) le società di distribuzione dei suoi prodotti hanno sede a Ginevra e a Parigi; c) i suoi figli non sono residenti in Italia; d) egli non è residente in Italia 2 nulla essendo stato dimostrato in ordine alla sua dimora abituale in Italia, sussistente invece in Svizzera, dove si concentrano i suoi interessi economici e la sua vita affettiva. Conseguentemente egli può essere assoggettato alla sola imposizione fiscale elvetica, conclusione che non muterebbe applicando il secondo comma dell'art. 4 della Convenzione secondo cui se la persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati, ovvero non soggiorna in alcuno di essi, è considerata residente dello Stato del quale ha la nazionalità.»
Col secondo motivo di censura il contribuente lamentava il mancato vaglio degli elementi addotti a difesa, con particolare riguardo al documenti allegati alla dichiarazione di riesame.
La Cassazione esamina i due motivi di ricorso, iniziando dal primo; dapprima - richiamandosi a precedente giurisprudenza della Corte - evidenzia che «Ai fini delle imposte sui redditi, l'art. 2 T.U.I.R, secondo il quale soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche sia residenti (nei confronti delle quali l'imposta si applica a tutti redditi posseduti) che non residenti nel territorio dello Stato (obbligati per i soli redditi prodotti nello Stato), considera residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile, mentre sono definiti "non residenti" coloro che non sono iscritti nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d'imposta, cioè per almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili) e, ai sensi del codice civile, non hanno nel territorio dello Stato italiano né il domicilio (sede principale di affari e interessi) né la residenza (dimora abituale), con l'espressa precisazione che se manca anche uno soltanto dei suddetti requisiti, il contribuente viene automaticamente considerato residente. Sono pertanto tre i presupposti indicati in via alternativa ai fini dell'assoggettabilità all'imposta in esame, aggiungendosi al criterio formale, rappresentato dall'iscrizione nell'anagrafe, due criteri fattuali costituiti dalla residenza o dal domicilio nel territorio dello Stato: ne consegue che l'iscrizione nell'anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia allorché si tratti di soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell'interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi (Cass. Civ., Sez.5, n.14434 del 25.6.2010, Rv. 613668- 01)».
La Suprema Corte non solo esclude che la convenzione contro le doppie imposizioni possa inibire la pretesa impositiva sulla base del solo dato della residenza anagrafica, ma anzi afferma che proprio la previsione della convenzione rafforzi la possibile inconsistenza del solo dato anagrafico: «Né a diversa conclusione conduce la Convenzione tra l'Italia e la Svizzera del 1976 ratificata con I. 23.12.1978 n.943 al fine di ad evitare la doppia imposizione tra i due Stati, la quale, avendo la funzione, al pari di tutte le convenzioni bilaterali in materia, di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti nell'altro Stato che verrebbero perciò assoggettati ad un duplice prelievo, non muta il concetto di residenza sul quale si fonda l'obbligo fiscale avente ad oggetto i redditi prodotti dalla persona fisica o giuridica. Invero l'art. 4 dell'accordo, ai fini della definizione di un soggetto come residente in uno dei due Stati contraenti, individua criteri del tutto analoghi a quelli stabiliti dalla legislazione interna facendo riferimento alle nozioni di domicilio, residenza ovvero a criteri di analoga natura per la cui definizione rimanda espressamente alla normativa degli Stati contraenti e comunque prevede espressamente l'ipotesi, in tal modo dando implicitamente conto della possibile inconsistenza del dato anagrafico, in cui lo stesso soggetto possa essere considerato residente da entrambi gli Stati indicando i criteri per la soluzione del conflitto».
Dopo queste premesse, il Collegio avalla la decisione del Tribunale, in sede di ordinanza, ritenendola insuscettibile di censure in relazione alle doglianze sollevate in ordine alla valutazione del fumus commissi delicti: «la ordinanza impugnata ha ritenuto, sia pure limitatamente alla valutazione del fumus commissi delicti, che il signor Steiger dovesse ritenersi residente in Italia sulla base del dato fattuale, rimasto incontestato essendosi sul punto il ricorrente limitato ad opporre la propria residenza anagrafica in Svizzera, che egli dimori stabilmente, in conformità alla nozione civilistica di residenza, in Italia e segnatamente nella città di Ferrara, ed ha elencato una pluralità di elementi dai quali desumere che in Italia fosse anche il suo domicilio atteso che a Ferrara vi è il suo studio di design, che in Italia è titolare di plurimi conti correnti in proprio o tramite le società nelle quali è cointeressato, utilizza frequentemente in territorio italiano le carte di credito e altrettanto frequentemente percorre la rete autostradale italiana. Anche tali dati fattuali, tra loro convergenti e puntualmente indicati dai giudici di merito in conformità ai requisiti previsti dagli artt. 2, d.P.R. n. 917 del 1986 e 43, cod. civ., sono rimasti incontestati, avendo invece il ricorrente incentrato la propria difesa sulle risultanze di taluni documenti, peraltro non prodotti in questa sede in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, rilasciati dall'Autorità Fiscale Cantonale elvetica attestanti la sua residenza a Ginevra agli effetti della citata Convenzione italo-svizzera: siffatti attestati sono tuttavia privi di rilevanza, non emergendo da essi l'avvenuto pagamento delle imposte in Svizzera relativamente allo stesso reddito su cui si fonda la contestazione di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta 2010-2013 configurante il reato di cui all'art. 5 d. Igs 74/2000, pagamento il quale soltanto avrebbe consentito di ritenere fondata l'eccepita violazione del divieto di doppia imposizione».
La Cassazione, dopo aver esaminato il secondo motivo ritenuto inammissibile perché «Non basta a configurare l'inammissibilità dello scrutinio in sede di legittimità l'invocazione di una motivazione apparente allorquando la censura svolta non evidenzi una motivazione del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento, ma concerna, invece, la valutazione della documentazione offerta a fondamento della residenza all'estero dell'indagato, ovvero il numero delle pagine di cui si compone l'ordinanza impugnata e dunque si appunti sull'adeguatezza e sulla congruenza logica delle argomentazioni spese dal giudice del riesame».