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Commento a Decisione Giurisprudenziale - A cura di Fulvio Graziotto - Avvocato in Sanremo (Imperia)

Pubblicato su: Diritto24 - Il Sole 24 Ore

L'azione revocatoria ordinaria ex art. 66 L.F. esperita dal curatore fallimentare ha caratteristiche e finalità differenti dall'azione revocatoria esperibile dal creditore ex art. 2901 c.c.

Per l'azione revocatoria ex art. 66 L.F. esperita in procedure concorsuali avviate in Italia, sussiste la giurisdizione del Giudice italiano anche relativamente ai convenuti esteri.

Decisione: Ordinanza n. 10233/2017 - Cassazione Civile SezioniUnite

Classificazione: Commerciale, Fallimentare, Internazionale

Parole chiave: #azionerevocatoria, #crisiaziendale, #fallimento, #giurisdizione, #revocatoriafallimentare, #fulviograziotto, #scudolegale

Il caso.

Nell'ambito di una procedura fallimentare avviata in Italia, il curatore proponeva azione revocatoria per recuperare beni costituiti - dai falliti - in un trust in pregiudizio dei creditori.

Alla richiesta di declaratoria di inefficacia degli atti di conferimento nel trust da parte della società fallita alla banca con sede a Malta, quest'ultima contstava la giurisdizione del giudice italiano.

Le Sezioni Unite della Cassazione, investite del regolamento di giurisdizione, rigettano l'eccezione di incompetenza e affermano la giurisdizione del giudice italiano.

La decisione.

Il Consesso parte dalla considerazione che «il ricorrente ha concluso per l'affermazione della giurisdizione del giudice italiano innanzitutto in ragione della riconducibilità dell'azione revocatoria di cui all'art. 66 L. Fall. nell'ambito di applicazione del Regolamento CE n. 1346/2000»; mentre la banca resistente «l'ha contestata, sostenendo la necessità di fare riferimento al Regolamento CE n. 44/2001 (applicabile ratione temporis) e la conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice di Malta, nel cui territorio si trovava la [ sua sede ed il domicilio dei trusts».

Le Sezioni Unite, anzitutto, ricordano che «il problema della materia cui ascrivere l'actio pauliana è già stato affrontato da queste Sezioni Unite che con sentenza n. 6899/2003 l'hanno risolto nel senso della sua sussumibilità nell'area "civile e commerciale" e, per l'effetto, dell' applicabilità - a seconda dei casi - della Convenzione di Bruxelles (richiamata dall'art. 3, comma 2, della legge n. 218/1995) ovvero del Reg. CE 44/2001 e, più in particolare, della disposizione (comune ad entrambi) di cui all'art. 5, n. 1, secondo la quale il soggetto domiciliato nel territorio di uno Stato membro può essere convenuto in un altro Stato membro davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione è stata o deve essere eseguita», ma precisano subito che «in quel caso si trattava di revocatoria ordinaria proposta dal creditore in assenza di una procedura d'insolvenza, mentre nella vicenda di cui si discute l'azione è stata proposta dal curatore del fallimento delle persone che avevano costituito i trusts».

Poi richiamano alcune decisioni della Corte di Giustizia UE, la quale «si è occupata più volte dell'argomento, stabilendo che in base agli artt. 3 e 25 del Reg. CE n. 1346/2000, i giudici dello Stato membro nel cui territorio sia stata avviata una procedura d'insolvenza hanno giurisdizione anche sui convenuti aventi sede o domicilio in un altro Stato membro qualora l'azione contro di essi proposta sia qualificabile come direttamente derivante dalla procedura d'insolvenza e ad essa strettamente connessa (v., in particolare, le sentenze in cause 133/78, 339/07, 213/10, 157/13 e 295/13)».

Con la precisazione che «per qualificare come sopra un'azione non basta che la stessa venga esercitata nell'ambito di una procedura d'insolvenza, occorrendo anche - e soprattutto - che la stessa si fondi su disposizioni in deroga alle norme generali del diritto comune.

Non si deve cioè trattare di una normale azione che venga occasionalmente esercitata dal curatore solo perché il titolare della stessa è nel frattempo fallito (sentenza in causa 157/13), ma di un'azione che pur se proponibile anche in assenza di una procedura d'insolvenza, tragga da essa titolo e sia dunque fondata su norma costituente deroga alle comuni regole del diritto civile e commerciale (v. par. 22 della sentenza in causa 295/13)».

Premesse queste considerazioni, il Consesso osserva che «Nel caso di specie, il curatore ha agito nella qualità di organo della procedura non in sostituzione dei falliti, ma "contro" di essi, al fine di recuperare beni asseritamente costituiti in trust con la consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori. L'azione da lui proposta è prevista espressamente dall'art. 66 della legge fallimentare».

Poi osservano anche che «Il fatto che la stessa postuli gli stessi presupposti di quella prevista dall'art. 2901 cc e l'esperibilità di quest'ultima anche in assenza di una procedura concorsuale non sono di per sé, neppure in via generale ed astratta, circostanze decisive per escludere la possibilità di riguardare quella di cui all'art. 66 L. Fall. come un' azione direttamente derivante dal fallimento (v. par. 24 della sentenza in causa 295/13)».

E, infatti, le differenze tra le due azioni sono molteplici, e le Sezioni Unite ne fanno una completa illustrazione: «In concreto, poi, le due azioni, pur generando da una comune matrice, presentano delle non trascurabili differenze, innanzitutto perché quella di cui all'art. 2901 cc può essere liberamente esercitata dal creditore, che agisce nel suo esclusivo interesse e beneficio, nel senso che l'eventuale accoglimento dell'azione giova soltanto a lui. Il curatore è invece tenuto ad attivarsi. Egli agisce nell'interesse della massa e l'accoglimento della domanda giova a tutti i creditori. L'esperimento vittorioso dell'azione di cui all'art. 2901 cc consente unicamente al creditore di procedere successivamente all'esecuzione. L'accoglimento dell'azione di cui all'art. 66 L. Fall. ha invece un effetto sostanzialmente recuperatorio dei beni. Il giudice competente a conoscere della domanda ex art. 2901 cc è quello individuato dagli ordinari criteri di collegamento. In deroga a quanto sopra, la domanda di cui all'art. 66 L. Fall. si propone invece al Tribunale fallimentare, all'evidente fine di aumentare la rapidità e l'efficacia della procedura mediante la concentrazione della causa presso il giudice che avendo tutti gli atti e la conoscenza dell'intera vicenda, si trova verosimilmente nelle condizioni di poter pronunciare in maniera più adeguata degli altri. L'azione di cui all'art. 2901 cc è soggetta al solo limite della prescrizione quinquennale, mentre quella di cui all'art. 66 L. Fall. anche alla decadenza di tre anni dalla dichiarazione di fallimento (art. 69 bis). L'esercizio dell'azione di cui all'art. 2901 cc da parte di uno dei creditori non preclude agli altri d'intervenire nel giudizio o di proporre altre analoghe azioni. L'esercizio dell'azione di cui all'art. 66 L. Fall. impedisce, invece, la proposizione di autonome iniziative da parte dei creditori, che non sono legittimati neppure ad intervenire od a permanere nel giudizio avviato o proseguito dal curatore (C. cass. SU 2008/29420)».

Da tali differenze e considerazioni, si può trarre la conclusione che «la revocatoria ordinaria proposta dal curatore si connota di caratteristiche tali da giustificarne la qualifica di azione direttamente derivante da una procedura d'insolvenza e ad essa strettamente connessa».

Quindi, la Corte dichiara la giurisdizione del giudice italiano, al quale rimette anche la regolamentazione delle spese di lite della presente fase.

Osservazioni.

L'aspetto chiave esaminato dalle Sezioni Unite è la qualificazione sostanziale dell'azione revocatoria proposta dal curatore fallimentare al fine di recuperare quanto sottratto in pregiudizio dei creditori.

Avendo il curatore proposto azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901 c.c., si trattava di stabilire se la stessa assumesse caratteristiche tali da poterla qualificare come azione direttamente derivante da una procedura di insolvenza, e conseguentemente attrarla alla competenza giurisdizionale del Giudice fallimentare in base al Reg. CE n. 1346/2000 (artt. 3 e 25).

Qualificazione che, in ragione delle finalità perseguite dall'azione, rientra in pieno nell'ipotesi di azione direttamemnte derivante dalla procedura, e ad essa strettamente connessa.


Giurisprudenza rilevante.
  1. Cass. 29420/2008, Sezioni Unite
  2. Corte di Giustizia Europea, C-133/78
  3. Corte di Giustizia Europea, C-339/07
  4. Corte di Giustizia Europea, C-213/10
  5. Corte di Giustizia Europea, C-157/13
  6. Corte di Giustizia Europea, C-295/13

Disposizioni rilevanti.

REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 267

Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa

Vigente al: 10-10-2017

Sezione III Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori

Art. 66 - Azione revocatoria ordinaria

Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile.

L'azione si propone dinanzi al tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro.


Codice Civile

Vigente al: 10-10-2017

Sezione II Dell'azione revocatoria

Art. 2901 - Condizioni

Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.

Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.

Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto.

L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione.


REGOLAMENTO (CE) N. 1346/2000 DEL CONSIGLIO del 29 maggio 2000 relativo alle procedure di insolvenza

Vigente al: 10-10-2017

Articolo 3 - Competenza internazionale

1. Sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria. 2. Se il centro degli interessi principali del debitore è situato nel territorio di uno Stato membro, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro. Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio. 3. Se è aperta una procedura di insolvenza ai sensi del paragrafo 1, le procedure d'insolvenza aperte successivamente ai sensi del paragrafo 2 sono procedure secondarie. Tale procedura è obbligatoriamente una procedura di liquidazione. 4. Una procedura d'insolvenza territoriale di cui al paragrafo 2 può aver luogo prima dell'apertura di una procedura principale d'insolvenza di cui al paragrafo 1 soltanto nei seguenti casi: a) allorché, in forza delle condizioni previste dalla legislazione dello Stato membro in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore, non si può aprire una procedura d'insolvenza di cui al paragrafo 1, ovvero b) allorché l'apertura della procedura territoriale d'insolvenza è richiesta da un creditore il cui domicilio, residenza abituale o sede è situata nello Stato membro nel quale si trova la dipendenza in questione, ovvero il cui credito deriva dall'esercizio di tale dipendenza.

Articolo 25 - Riconoscimento e carattere esecutivo di altre decisioni

1. Le decisioni relative allo svolgimento e alla chiusura di una procedura di insolvenza pronunciate da un giudice la cui decisione di apertura è riconosciuta a norma dell'articolo 16, nonché, il concordato approvato da detto giudice, sono egualmente riconosciute senza altra formalità. Le decisioni sono eseguite a norma degli articoli da 31 a 51 eccezion fatta per l'articolo 34, secondo comma, della convenzione di Bruxelles concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, modificata dalle convenzioni di adesione a detta convenzione. La disposizione di cui al primo comma si applica inoltre alle decisioni che derivano direttamente dalla procedura di insolvenza e le sono strettamente connesse, anche se sono prese da altro giudice. La disposizione di cui al primo comma si applica anche alle decisioni riguardanti i provvedimenti conservativi presi successivamente alla richiesta d'apertura di una procedura d'insolvenza. 2. Il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni diverse da quelle di cui al paragrafo 1 si effettuano secondo le disposizioni della convenzione di cui al paragrafo 1, ove questa si applichi. 3. Gli Stati membri non sono obbligati a riconoscere ed a rendere esecutiva una decisione di cui al paragrafo 1 che abbia come effetto una limitazione della libertà personale o del segreto postale.

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